

In ambito sportivo è ancora vivo il dibattito che riguarda la considerazione della cannabis come una sostanza dopante, per quanto nel contesto medico, specialmente nelle terapie del dolore, sia stata per buona parte sdoganata.
L’ Agenzia mondiale antidoping (World Anti Doping Agency), nata con la finalità di tutelare il diritto fondamentale degli atleti alla pratica di uno sport libero dal doping, include la cannabis nella sua lista proibita dal 2004.
La WADA sostiene che la cannabis, oltre ad essere illegale nella maggior parte dei paesi, possa incrementare le prestazioni in alcuni sport: questo criterio, insieme al rischio potenziale o effettivo per la salute e alla violazione dello spirito dello sport, determina la proibitività di una determinata sostanza. Fumare cannabis può essere utile per alcune attività come gli sport estremi, poiché migliora il rilassamento muscolare, riduce l’ansia ed estingue i ricordi di esperienze negative, portando ad un miglioramento delle prestazioni nell’atleta.
Un esempio lo ritroviamo nella maratoneta americana Jenn Shelton, che ha dichiarato di utilizzare la marijuana per gestire il dolore, per non vomitare e per riuscire a mantenere la calma durante un’ultramaratona; oppure, sempre del mondo delle maratone, Avery Collins (nella foto)ammette di utilizzarla per allievare la fatica dei lunghi percorsi in solitaria e non sentire dolore, e ridurre l’ansia pre-gara. Rimanendo nel contesto della corsa emerge come, a livello neurobiologico, la Runner’s High, ovvero la sensazione di euforia durante la corsa, sia influenzata in modo centrale dal sistema di endocannabinoidi del nostro cervello, i cui effetti psicoattivi sono simili a quelli
indotti dalla cannabis. Vale anche la pena sottolineare che il fumo di cannabis migliora il tempo di sonno e il recupero, il che può favorire le prestazioni di un atleta di fronte a più competizioni in un breve periodo di tempo.
Per contro, gli effetti acuti della cannabis comprendono degli effetti psicologici indesiderati quali una diminuzione delle prestazioni cognitive, aumento delle sensazioni soggettive di euforia e stato di intossicazione, e talvolta psicosi, reazioni di panico, paranoia e sintomi di dipendenza.
A livello fisico si riscontrano un aumento della frequenza cardiaca, seguito, in molti individui, da ipotensione, vertigini e disorientamento, e vengono riportati anche un insieme di altri effetti cronici comprendenti la tossicità polmonare conseguente al fumo, quali irritazione bronchiale, tosse cronica e respiro sibilante (come del resto riscontrabile nei tabagisti ndr).
Inoltre il suo utilizzo prima della competizione può comportare un pericolo per gli atleti a causa dell’alterazione dei tempi di reazione, resi più lenti, dalla perdita della vigilanza o da scarsi processi decisionali.
Recentemente, nel 2013, la WADA ha innalzato i livelli consentiti di THC (Delta-9-Tetraidrocannabinolo, uno dei più noti principi attivi della cannabis, psicoattivo) da 15 a 150 nanogrammi per millilitro, in seguito al fatto che con i livello precedentemente posto come limite (15 nanogrammi / millilitro) venivano riscontrati un alto numero di positivi, probabilmente in seguito all’estendersi dell’uso di cannabis per un uso ludico. Tale decisione, di fatto, lascia la libertà agli atleti di usarla esclusivamente in fase d’allenamento, ma probabilmente non a breve distanza dalla gara.
La maggior parte delle ricerche passate si concentrano sulla cannabis nel suo insieme o sul THC, e per questo vi è una conoscenza limitata dei meccanismi di azione di molti altricannabinoidi (in totale più di 60), il che impedisce di comprendere le loro applicazioni mediche.
Una delle aree di ricerca sugli effetti terapeutici della cannabis si basa sul potenziale ruolo protettivo del Cannabidiolo (CBD) sugli effetti psicologici avversi del THC, anche se sono necessari approfondimenti dati i pochi studi a disposizione. L’attenzione ai singoli cannabinoidi è rilevante per il problema del doping nello sport.
Infatti, ad esempio, anche il consumo occasionale e singolo di cannabis può produrre un risultato positivo di THC-COOH (≥15 nanogrammi / millilitro) per un massimo di 5 giorni, comportando un rischio considerevole di risultare positivi in un test antidoping anche settimane dopo il suo consumo, mentre la concentrazione sui metaboliti del THC per i test anti-droga ignora il potenziale di aumento delle prestazioni dovuto da altri cannabinoidi, come il prima citato CBD e il Cannabinolo (CBN), i quali non vengono rilevati negli esami delle urine.
In conclusione, per quanto manchino informazioni esaustive in merito agli effetti degli oltre 60 cannabinoidi presenti nella cannabis, si può affermare che la cannabis possa avere un effetto positivo come ansiolitico e per allievare il senso di fatica e di dolore ma che, a livello acuto e cronico, possa avere degli effetti collaterali che portano a compromettere la prestazione sportiva.
Fabio Bellasio
BIBLIOGRAFIA.
Mateus M. Bergamaschi and José Alexandre S. Crippa, Why should Cannabis be
Considered Doping in Sports?, Front Psychiatry. 2013
Mauro Murgia, Fabio Forzini, Tiziano Agostini, Migliorare le prestazioni sportive. Superare
il doping con la psicologia sperimentale applicata al movimento, Franco Angeli, 2014
Marilyn A. Huestis, Irene Mazzoni, and Olivier Rabin, Cannabis in Sport: Anti-Doping
Perspective, Sports Med, 2011
SITOGRAFIA.
https://actionmagazine.it/la-marijuana-puo-aiutare-le-prestazioni-sportive/
https://www.theguardian.com/society/2016/may/02/marijuana-athlete-running-
performance-enhancing-drug